Poiché non potevo fermarmi per la Morte,
Fu lei gentile a fermarsi per me.
La carrozza portava noi soltanto,
E l’Immortalità.
Ma lentamente,
lei non aveva fretta,
Io avevo messo via
Tutto il mio lavorare e il mio riposo.
Per la sua Cortesia,
Passammo oltre la scuola,
dove i fanciulli,
Nell’intervallo vociavano,
in cortile,
Passammo oltre i campi di grano abbagliante,
Passammo oltre il sole cadente,
O piuttosto, lui ci sorpassò,
Piovvero le rugiade con un brivido.
Era una ragnatela la mia gonna.
Di tulle, la mia mantellina,
Sostammo a una casa che sembrava,
Come un gonfiore del prato.
Il tetto era appena visibile,
E la sua gronda, nel prato,
Da allora, sono secoli,
eppure
Li sento più brevi di quel giorno
In cui compresi
d’un tratto
che i cavalli Correvano verso l’Eterno.
E’ straordinaria la leggerezza e l’ironia con cui la Morte viene raccontata (ironia che Giovanni Giudici doveva aver sentito particolarmente vicina, pensiamo ad esempio alla sua “Descrizione della mia morte”). Il minimo e l’Eterno, seduti uno accanto all’altro, si scambiano continuamente il metro.